Sempre più persone ricorrono alla chirurgia estetica per assomigliare alla propria immagine filtrata dai social. Il dott. Stefano Sorressa avverte: “il nostro aspetto si può modificare, ma non stravolgere”

Dimenticate le holliwoodiane icone di bellezza, le labbra di Angelina Jolie o il lato B di Jennifer Lopez. Adesso i canoni della perfezione sono dettati dai social media con semplici filtri che in pochi secondi rendono tutti perfetti. Negli Stati Uniti, infatti, sono sempre di più le persone che si recano dal chirurgo plastico per assomigliare alla propria immagine ritoccata dalla fotocamera di alcune applicazioni. In un articolo scritto per la rivista Jama Facial Plastic, i ricercatori del centro medico di Boston sono stati i primi a definire questa tendenza, parlando di dismorfia da snapchat.

Snapchat, Facebook e Instagram Stories sono alcune delle più diffuse applicazioni dotate di numerosi filtri bellezza che nell’istante di uno scatto migliorano la forma del viso, aumentano il volume delle labbra, definiscono lo sguardo con occhi più grandi e ciglia più lunghe, levigano la pelle ed eliminano ogni tipo di imperfezione. Il risultato è in un’immagine completamente distorta, «irrealistica e inaccessibile – come sostengono i medici di Boston – perché confonde i limiti tra realtà e fantasie».

Secondo i ricercatori, dietro questa tendenza spesso si nasconde un disturbo di natura ossessivo-compulsivo che ha un impatto disastroso sull’autostima della gente. Il disturbo dismorfico del corpo (BDD) riguarda persone ossessionate da piccoli difetti, pronte a sottoporsi a qualsiasi tipo di trattamento o intervento pur di correggerli e cambiare il proprio aspetto. La preoccupazione smodata per queste imperfezioni, spesso impercettibili, matura nell’individuo un disagio che si riversa in ambito sociale, lavorativo e comportamentale. Negli Stati Uniti si stima che circa una persona su cinquanta soffra di dismorfofobia. In molti casi, il desiderio di migliorarsi nasce dalla necessità di apparire meglio nei selfie. Secondo un sondaggio dell’Accademia americana di chirurgia plastica e ricostruttiva facciale, oltre la metà dei pazienti che richiede questo tipo di intervento, lo fa per migliorarsi negli autoscatti. Da qui nasce l’allarme “Snapchat dysmorphia”, con l’aumento delle richieste per assomigliare sempre di più all’immagine filtrata di se stessi.

Un sondaggio del 2015 ha rilevato che il 57% delle donne ammette di modificare regolarmente le foto sui social media per migliorare le proprie immagini e la tendenza sarebbe aumentata proprio con la diffusione di applicazioni di fotoritocco. Facetune è un app dedicata ai selfie: nella descrizione per il download si definisce “veloce, potente e più economica del botox”. In poche mosse permette di sbiancare i denti, ridurre la silhouette, “aggiustare la linea del viso” e con qualche euro in più è possibile accedere a una serie infinita di filtri per ritoccare anche ciò che non avresti mai immaginato modificare. Tra le recensioni, qualcuno si lamenta dei costi, altri dell’impossibilità di avere soluzioni istantanee, evitando di spendere qualche minuto per il fotoritocco. Tuttavia, resta una delle applicazioni più scaricate, in prevalenza dalle donne. E sono proprio le donne coloro che si affidano di più alla chirurgia plastica, più impavide e coraggiose degli uomini. Le ultime statistiche Isaps (International Society of Aesthetic Plastic Surgery), piazzano l’Italia al quinto posto nella classifica mondiale delle procedure chirurgiche.

Abbiamo chiesto al dott. Stefano Sorressa, specializzato in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica,  di tracciare un quadro generale delle richieste più diffuse in Italia.

Dott. Sorressa, qual è l’intervento di chirurgia estetica più diffuso nel nostro paese?

«Al primo posto fra gli interventi più richiesti c’è quello dell’aumento del seno, perché la mastoplastica additiva ha percentuali altissime di soddisfazione e bassissime di rischio».

Quali sono invece, quelli in netta riduzione?

«Calano drasticamente gli interventi di rinoplastica e liposuzione. Si tratta di operazioni traumatiche e anche se eseguite perfettamente raccolgono tassi di insoddisfazione attorno al 70%. Per quanto riguarda la rinoplastica, il trend è calato anche grazie allo sviluppo di tecniche meno invasive come l’utilizzo di rinofiller che permettono di correggere il naso, temporaneamente, ma in maniera ambulatoriale, senza anestesia e con rischi molto più bassi rispetto a quelli di un intervento. Stesso discorso vale per la liposuzione: apparecchiature come laser e radiofrequenza, migliorano il tono muscolare e riducono le adiposità, in maniera più semplice e meno traumatica».

Quale procedura rientra tra le novità più in voga?

«Protagonista di una vera e propria impennata è la tossina botulinica che permette di distendere le rughe su fronte e contorno occhi. A richiederla sono sopratutto le ragazze under 30, spesso come strumento di prevenzione perché contiene sostanze che idratano e stimolano la produzione del collagene. La tendenza è nella diminuzione degli interventi a favore dei trattamenti e la tossina botulinica ha consentito una grande riduzione dei lifting, in calo non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti».

Secondo le statistiche mondiali, per quanto riguarda il genere maschile, gli interventi più diffusi sono quelli di ginecomastia e trapianto capelli. Conferma?

«Sì, la ginecomastia subentra a seguito di un vero e proprio disagio e diventa un intervento molto importante per la persona. In chirurgia gli uomini sono più timorosi delle donne, si sottopongono a meno interventi, ma è aumentata la percentuale di chi si affida ai trattamenti».

Dando sempre uno sguardo al report Isaps, sono in aumento gli interventi di ringiovanimento vaginale. Di cosa si tratta?

«Sì, c’è un aumento degli interventi di chirurgia intima. A richiederli sono ragazze tra i diciotto e i vent’anni che iniziano a preoccuparsi dell’aspetto delle piccole e grandi labbra, solo perché non si sentono in linea con i canoni che dominano su internet o fra amiche. Maturano un disagio talmente profondo che sono proprio le mamme ad accompagnarle per capire come intervenire».

Recentemente si è parlato della storia della giovane modella, Annapaola Xodo che dopo un intervento di mastoplastica additiva ha dovuto subire un vero e proprio calvario per una malattia definita “avvelenamento delle protesi mammarie”. Davanti alle richieste di queste ragazze bellissime, disposte a tutto per assomigliare ai canoni imposti da un mondo fittizio, si è mai sentito anche padre, oltre che medico? Come procede in questi casi?

«Da padre e da medico, se una ragazza è piatta e questa condizione la fa sentire a disagio, allora la mastoplastica additiva ha un senso, ma se c’è già un bel seno, non mi espongo a questo tipo di intervento. Ogni procedura deve svolgersi nel rispetto dell’armonia, perché l’unica perfezione è in un corpo proporzionato. Il nostro aspetto si può modificare, ma non stravolgere. Un bravo chirurgo rispetta questo mantra ed evita interventi inutili e pericolosi, il problema è che in Italia ci sono pochi veri specialisti in chirurgia estetica. Molti sono medici generici o di altri settori che si improvvisano chirurghi, perché non c’è nessuna legge che lo vieta. La vera chirurgia però non è mercenaria, aiuta la gente ad accettarsi e migliorare in maniera serena ed equilibrata».

 


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