L’inchiesta del quotidiano americano mette in luce i punti critici di un Made in Italy piegato dalla manodopera a basso costo, il lavoro nero e la disoccupazione del Sud Italia

Oggi la Puglia è sul New York Times, ma non per il suo mare, i suoi scorci mozzafiato e i matrimoni di vip e celebrità internazionali. È al centro di un’inchiesta sul lavoro a domicilio, in particolare quello delle sarte che per realizzare un cappotto in vendita a 2000 euro in boutique, guadagnano al massimo 20 euro.

L’inchiesta parte dalla storia di una donna di Santeramo in Colle che lavora ogni giorno per un euro  al metro, realizzando i cappotti in lana della collezione invernale Max Mara. Il lavoro le è stato affidato da una fabbrica locale che produce capispalla per altre grandi firme internazionali come Fendi e Louis Vuitton. A Ginosa, una donna di 53 anni racconta di aver lavorato per una vita intera alla realizzazione di abiti da sposa, con un salario di 1,50 euro l’ora, senza contratto né assicurazione.

«Le fondamenta secolari del “Made in Italy” – spiega l’inchiesta – negli ultimi anni sono state minate dal peso della burocrazia, l’aumento dei costi e della disoccupazione. Le imprese del Nord, dove generalmente ci sono più opportunità di lavoro e salari più alti, hanno sofferto meno di quelle del Sud, che sono state duramente colpite dal boom della manodopera straniera che ha indotto molte aziende a delocalizzare la produzione».

Dhaka, Bangladesh – March 2010. Garment factory in Dhaka Bangladesh in the Mohakhali area. Dhaka counts more than 4000 factories producing for export only. This factory produced garments for the dutch company Hans Textiel.

Lo sfruttamento della manodopera a basso costo in paesi come Cina, Vietnam e Bangladesh rappresenta lo scheletro nell’armadio dell’attuale fast fashion che coinvolge sempre più brand. Il tarlo del lavoro nero e della disoccupazione scalfisce il Sud da tempo immemore. Sebbene le condizioni delle lavoratrici del terzo mondo non siano assimilabili a quelle delle sarte pugliesi, secondo il New York Times non si potrebbe dire la stessa cosa dei loro salari, nettamente al di sotto del minimo nazionale italiano di circa 5-7 euro l’ora. 

Nel 2015 l’Istat registrava 3,7 milioni di lavoratori italiani in tutti i settori, senza regolare contratto. Attualmente non ci sono stime precise sui contratti irregolari, ma l’indagine del quotidiano americano ha rilevato situazioni così critiche per almeno 60 donne pugliesi che operano nel settore moda. Un numero destinato a rappresentare solo una piccola minoranza, considerando le stime di Tania Toffanin, autrice del libro “Fabbriche Invisibili”: stando alle sue ricerche, attualmente in Italia ci sarebbero dai 2000 ai 4000 lavoratori a domicilio irregolari, impegnati nella produzione di abbigliamento. 

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